
SÖDERLING , IL PRIMO COMPLEANNO LONTANO DAL TENNIS
TENNIS – Brutale, potente, talvolta burbero. Tanto difficile da affrontare in campo e negli spogliatoi, quanto sfortunato in una carriera caratterizzata da una sfortuna pazzesca. Spegne oggi 32 candeline Robin Bo Carl Söderling, il primo compleanno dello svedese lontano da racchette e palline. Una parabola discendente quella del ragazzone nordico nato a Tibro, che è salito fino al numero 4 nel ranking ATP senza però mai riuscire a trionfare in un torneo dello Slam. Nel corso della sua carriera, Söderling è riuscito a trionfare in 10 tornei dell’ATP World Tour, conquistando un prize money superiore ai 10 milioni di dollari, ma senza dubbio ha raccolto molto meno di quanto ci si attendesse dai suoi progressi. A stroncare la sua vita agonistica è stata una gravissima forma di mononucleosi, contratta nel 2011, che l’ha tenuto lontano dai campi fino al 2014. Un calvario che, purtroppo, non ha portato all’happy ending tanto sperato, visto che lo scorso 23 dicembre ha annunciato il suo ritiro definitivo dal tennis in una lettera tanto amara quanto commovente.
Prima della malattia, Söderling aveva mostrato progressi significativi, e in tanti avevano apprezzato la sua scalata nelle classifiche mondiali e pronosticato per lui un futuro roseo. L’incoronazione era arrivata addirittura da Borg, che aveva dichiarato di ammirare la crescita di Robin e lo riteneva pronto per vincere uno Slam. Un percorso più che altro mentale prima che tecnico, per il quale è stato decisiva l’influenza di coach Magnus Norman, al suo fianco dal 2008 al 2010 e fortemente decisivo anche nel momento più alto della carriera dello svedese. Era il 2009, e al Rolang Garros Söderling si ritrovò di fronte a Rafael Nadal, non certo un avversario qualunque, che arrivava da 66 vittorie consecutive sulla terra rossa parigina.
Fu quella partita a portare il “vikingo di Tibro” agli onori della cronaca, e gran parte del merito si deve proprio a Norman, che il giorno prima del match spronò a tal punto Söderling da trasformarlo in campo in una macchina impossibile da battere, anche per Nadal. Arrivò poi l’acuto ai master di Parigi nel 2010, quando sconfisse Gael Monfils per 6-1 7-5. Due acuti di una carriera poi rovinata dalla mononucleosi. Una malattia che è riuscita a sconfiggere il suo gioco potente, il suo servizio tanto terrificante quanto potente. È riuscita a scalfire l’animo di un atleta, ad annullare i suoi progressi, a cancellare tutti i sacrifici. L’amarezza per un sogno infranto resta, ma il nome dello svedese resterà impresso nella storia del tennis. Da Tibro a Parigi, andata e ritorno.
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