
WIMBLEDON STORIES: MARTINA NAVRATILOVA, UN AMORE DURATO 25 ANNI
TENNIS – Un quarto di secolo. Pezzi di vita che diventano viaggio. Eterno ritorno dove tutto è iniziato e tutto si sublima. Per Martina Navratilova, Wimbledon non è mai stato un posto come gli altri, e non c’entrano solo i 20 titoli in 25 anni tra singolo, doppio e misto.
È proprio a Wimbledon che decide di diventare americana. È l’estate del 1975, Martina è la stella della nazionale di Federation Cup che sotto la guida di Vera Sukova batte Olanda, Germania Ovest e Francia e in finale, contro l’Australia, non lascia nemmeno un set alle favorite Goolagong e Gourlay. Ha ottenuto il permesso di giocare una settimana a Boston, per il Virginia Slims Court, e senza avvisare partecipa anche a Amelia Island (perde in finale da Chris Evert). La federazione, che vuole evitare una terza defezione di spicco dopo Drobny e Cernik, la minaccia e le ordina di socializzare solo con colleghe cecoslovacche o comunque di nazioni dell’Est. Solo a queste condizioni, le concedono il permesso al Roland Garros. Martina non obbedisce affatto, anzi divide la camera con l’amica rivale Evert, con cui si iscrive in doppio. A Wimbledon, arriva in semifinale nel misto con Jan Kodes, ma vengono sconfitti 57 60 62 dai futuri campioni Riessen e Court. Durante il torneo Antonin Bolardt, il responsabile della federtennis cecoslovacca, che come tutte le organizzazioni sportive risponde alle direttive del partito comunista nei Paesi del blocco sovietico, ha spedito una lettera a tutto il personale del Comitato Centrale del CUPE (Unione Cecoslovacca di Educazione Fisica): “A Wimbledon” si legge, “abbiamo raggiunto la certezza che Martina Navratilova sia pronta a emigrare e che non tornerebbe in patria dal viaggio con la famiglia in Europa”.
Kodes allora avvicina il presidente del CUPE, Antonin Himl, che in conseguenza della lettera non vuole autorizzare Martina a partire per lo Us Open in quanto, dice, “mi hanno riferito dalla federazione che sta diventando troppo americanizzata”. Kodes insiste: “Io non posso andare allo Us Open senza di lei! Che cosa dico a chi mi chiede perché non gioco il misto con lei? Che ha avuto un influenza’ O che non l’avete fatta partire? Se non la fate andare, allora defezionerà alla prima occasione utile! Se la trattenete, uccidete il più grande talento tennistico del mondo!”.
La mediazione di Kodes funziona. Martina parte per gli Usa ma decide comunque di chiedere asilo politico. Prima di partire, l’aveva già confessato a suo padre: non può realizzare il suo sogno, le sue ambizioni, sotto la sorveglianza delle autorità sportive cecoslovacche, piegate alla dottrina comunista. “Qualunque cosa succeda” le risponde papà Mirek, “non tornare a casa. Potrebbero usare noi per supplicarti di tornare, ma non darci ascolti. Non tornare qui!”.
Nel 1978, proprio a Wimbledon vince il suo primo slam, in finale su Chris Evert, e arriva per la prima volta al numero 1 del mondo. “Allora non ero più una cecoslovacca, ma non ero ancora americana. Non potevo tornare a casa, perché non avevo più una casa, una nazione” ha ricordato al Telegraph. “In quegli anni volevo disperatamente essere amata, volevo sentire il calore del ‘pubblico di casa’. Ma ero un outsider, e ho impiegato moltissimi anni a conquistare l’affetto dei tifosi”.
Non sono stati anni facili per Martina, aiutata dall’amicizia con Billie Jean King, che come lei ha fatto del coraggio di essere se stessa una bandiera di vita, un esempio di quell’eccezionalità dell’essere normali che oggi definisce l’eredità più forte della presidenza Obama. Nel suo gran tennis, scriveva Gianni Clerici su Repubblica a proposito del suo primo trionfo a Wimbledon, “si nascondeva qualcosa di represso, di teso, di annodato. A chi è vecchio come me, la ragazza ricordava pari pari Jaroslav Drobny, il grande ceco, che se ne andò da Praga dopo la morte di Masaryk”.
Martina, scrive Larry Schwartz su ESPN, “è una di quelle star per cui basta solo il nome, come Magic [Johnson] o Michael [Jordan]”. Vince solo tre Slam in singolare prima dei 25 anni, saranno 18 a fine carriera, 56 contando anche doppi e doppi misti (solo Margaret Court ne ha di più). Nessuno, uomo o donna che sia, ha vinto più tornei di Martina, 167, che ha chiuso la carriera con 1438 vittorie a fronte di sole 212 sconfitte. Nel 1982, vince 90 incontri su 93 e diventa la prima donna a guadagnare più di un milione in una sola stagione. L’anno dopo perde una sola partita, dall’ungherese Kathy Horvath al Roland Garros, e inizia la serie di 109 successi di fila con Pam Shriver. Tra il 1984 e il 1987, quando eguaglia i cinque titoli di fila a Wimbledon di Suzanne Lenglen, arriva in finale in tutti gli undici Slam che gioca, e ne vince sei.
Ma la sua influenza, la sua eredità, va molto al di là dei numeri. Martina è la prima superstar a fare coming out sulla sua identità sessuale quando è al top. Ha fatto esplodere le barriere, ha detto chiaramente che quella parte della sua vita non aveva niente a che fare col tennis. Come scrivono Robert Lipdyte e Peter Levine in “Idols of the Game”, dichiarando di essere lesbica “Navratilova ha allargato il dialogo sulle questioni di genere nello sport. Negli anni della grande rivalità con Chris Evert per il numero 1 del mondo, i tifosi hanno visto che era possibile per due donne diverse, emotivamente e fisicamente, dallo stile di gioco così opposto, essere grandi campionesse e allo stesso tempo amiche”.
Così, il finale di questa storia sembra davvero l’opera di uno sceneggiatore affezionato agli happy ending. A 25 anni dal suo primo trofeo, Martina, che si era ritirata nel 1995, torna in doppio misto a Wimbledon. Quel suo percorso di vita iniziato con la semifinale di misto del 1975, si chiude con il trionfo del 2003 in coppia con Leander Paes. A 46 anni e 261 giorni, Navratilova diventa la più anziana vincitrice di uno Slam e alza il ventesimo trofeo ai Championships. Solo un’altra donna ci era riuscita prima, la campionessa che come Martina ha allargato gli orizzonti di genere nel tennis, l’amica che l’ha aiutata nei primi anni dopo la defezione: Billie Jean King. “Non sono tornata per il record -commenta- ma se Billie Jean ne avesse vinti 30 di Wimbledon io starei ancora là fuori”.
Nessun Commento per “WIMBLEDON STORIES: MARTINA NAVRATILOVA, UN AMORE DURATO 25 ANNI”